Casi Trattati

Casi di Malasanità trattati

I casi affrontati in questi anni sono molto vari e di differente complessità, riguardando le molteplici specializzazioni esistenti in medicina.
A titolo esemplificativo e non esaustivo riportiamo alcuni dei casi Malasanità trattati e risolti con successo dal nostro team nel corso degli anni.
Ogni caso potrà essere verificato e riscontrato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di appartenenza.

Danni da malasanità

Tardiva diagnosi di tumore

RICONOSCIUTI €. 180.000,00  (in 1 anno)

 

[Eredi D.G. vs Asl di *** – stragiudiziale]

 

IL CASO
Il nostro assistito – ricoverato per colestasi – tra i vari accertamenti effettuava TC addome che evidenziava un sospetto addensamento polmonare.
Il radiologo, nella refertazione, si limitava a una descrizione generica senza formulare alcuna ipotesi diagnostica, nè consigliare alcun approfondimento.
A convalescenza terminata, nelle dimissioni, non veniva segnalato il sospetto quadro radiologico a livello polmonare, nè veniva data indicazione di proseguire gli accertamenti.
A distanza di circa 14 mesi, l’assistito affetto da febbre e tosse ribelle alle terapie, per escludere focolai polmonari, effettuava TC polmonare che accertava tumore polmonare in stadio 3B.
Dopo essersi sottoposto a intervento, effettuava chemioterapia e radioterapia ma a distanza di 1 anno moriva.

 

Nostra Tesi
Il ritardo diagnostico di 14 mesi aveva determinato un passaggio del tumore da uno stadio clinico IIB ad uno stadio clinico IIIA che aveva determinato la perdita di “chances di sopravvivenza” a 5 anni.

 

Tesi avversaria
L’aggressività del tumore non avrebbe consentito la guarigione, nè percentuali di chances di sopravvivenza a 5 anni diverse neppure ove fosse stato tempestivamente diagnosticato..

 

Danni Richiesti
Paziente vissuto meno a lungo e in condizioni di vita, fisiche e spirituali peggiori.

 

ESITO
Dopo 1 anno di trattativa raggiunto accordo transattivo di € 180.000 di risarcimento danni per la perdita della chances di sopravvivenza a 5 anni.

Chirurgia laparoscopica

RICONOSCIUTI €. 64.000,00  (in 6 mesi)

 

[Annamaria Z. vs Azienda Ospedaliera di *** – stragiudiziale]

 

IL CASO
Intervento di laparoscopia, su paziente di 39 anni, per rimozione di “banding gastrico” e riduzione di ernia iatale.
Nel post-operatorio, la paziente accusava forti dolori addominali. Gli accertamenti strumentali effettuati documentavano: recidiva erniaria; formazione di aderenze in sede addominale e toracica; versamento pleurico.
La paziente, per la risoluzione del quadro clinico, doveva effettuare un nuovo intervento chirurgico con urgenza, non più in laparoscopia, bensì mediante la più invasiva laparotomia.

 

Nostra Tesi
Incompletezza dell’intervento di laparoscopia (per mancata rimozione chirurgica di alcuni frammenti del banding gastrico che erano stati la causa delle problematiche post-operatorie).

Inadeguata riduzione chirurgica dell’ernia iatale (mediante semplice plastica dei pilastri diaframmatici in luogo dell’inserimento di protesi).

 

Tesi avversarie
La recidiva in ernia iatale era complicanza inevitabile e non addebitabile all’operato dei medici.

 

Danni Richiesti
Grave danno biologico in termini di “danno estetico” per la cicatrice all’addome; grave “danno morale” per la sofferenza e le ansie per essersi dovuta sottoporre per la seconda volta nel giro di pochi giorni, ad un nuovo intervento avente estrema urgenza e maggiore invasività.

 

ESITO
Integrale riconoscimento delle nostre ragioni in via stragiudziale (in 6 mesi): €. 64.000,00 di risarcimento danni.

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Chirurgia vascolare

RICONOSCIUTI €. 55.000,00  (transazione giudiziale)

 

[Sabrina B. vs Policlinico *** di Bologna – accordo in corso di causa]

 

IL CASO
Intervento di safenectomia con stripping alla gamba destra, su paziente di 34 anni.
Successivamente all’intervento, nel corso degli anni, insorgevano fastidi ed affaticamento all’arto operato dopo la pratica di attività sportiva o lunghe passeggiate.

 

Nostra Tesi
Gli accertamenti clinico/diagnostici effettuati ci consentivano di accertare “arteriopatia” conseguente a una “lesione dell’arteria femorale” da attribuirsi, con elevata probabilità, a manovre incongrue messe in atto durante l’intervento di safenectomia di anni prima.

 

Tesi avversarie
Impossibilità di attribure con certezza la lesione dell’arteria all’intervento effettuato alcuni anni prima senza una evidente sintamatologia per anni.

 

Nostra Tesi
La mancanza di una evidente sintomatologia era da ricondursi ad una buoona compensazione dell’arteriopatia.

 

Danni Richiesti
Danno biologico per la lesione anatomica; “danno esistenziale” per la compromissione della possibilità di praticare attività sportiva e per la possibilità futura di trombosi e necessario intervento d’urgenza.

 

ESITO
Integrale riconoscimento delle nostre ragioni (transazione in corso di causa): €. 55.000,00 di riacimento danni.

Infezione Ospedaliera (Klebsiella Pneumoniae)

RICONOSCIUTI €. 46.000,00  (transazione giudiziale)

 

[Angela C. vs Ospedale *** di Bologna – accordo in corso di causa]

 

IL CASO

Infezione Klebsiella Pneumoniae contratta durante ricovero ospedaliero in paziente di 41 anni.

Durante ricovero per anticipata rottura delle membrane e rischio di parto prematuro, la gestante manifestava febbre, dinamica uterina e un quadro clinico non rassicurante, così che veniva sottoposta a taglio cesareo urgente con nascita di primogenito in salute.

Gli accertamenti eseguiti nel post parto rivelavano, tuttavia, un quadro d’infezione da Klebsiella pneumoniae per effetto della quale la paziente doveva essere sottoposta a intervento di asportazione dell’utero.

 

Nostra Tesi

L’evento occorso era inquadrabile come infezione nosocomiale, in quanto il germe era tipico degli ambienti ospedalieri l’infezione non era presente all’ingresso ma era insorta dopo 20 giorni di degenza ospedaliera.

Sussisteva responsabilità a carattere organizzativo imputabile alla struttura per la promiscuità ambientale ospedaliera (con bagni in comune esterni alle stanze dei pazienti, utilizzabili e utilizzati anche dai visitatori esterni), un deficit strutturale per l’organizzazione di un’adeguata igiene ospedaliera (con un rapporto tra n.ro di bagni e n.ro degenti inadeguato) e carenze igieniche complessive (bagni non igienizzati correttamente).

Veniva contestata, inoltre la tardività nella diagnosi dell’infezione e l’inadeguatezza della terapia antibiotica praticata.

 

Tesi avversarie

L’infezione era da attribuirsi a una precedente colonizzazione della degente (di professione infermiera in altra struttura), mentre diagnosi e terapia antibiotica erano stato tempestive e corrette.

 

Danni Richiesti

Danno da invalidità permanente conseguente all’intervento di isteroctomia e da inabilità temporanea per tutta la durata della convalescenza, danno per la perdita per il futuro della capacità di procreazione.

 

ESITO

A fronte di una Ctu che non dava certezze circa la nosocomialità dell’infezione si raggiungeva comunque accordo transattivo in corso di causa di €. 46.00,00 di risarcimento danni, di cui €. 5.000,00 al primogenito della danneggiata per la perdita della chances futura di avere un fratello/sorella.

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Chirurgia otorinolaringoiatrica

RICONOSCIUTI €. 30.000,00  (giudiziale)

 

[Sergio S. vs Ospedale *** di Bologna – sentenza di condanna]

 

IL CASO
Intervento di tiredectomia, su paziente di 46 anni.

 

Nostra Tesi
Incompletezza dell’intervento stante la mancata rimozione dei linfonodi metastatici in zona laterocervicale chiaramente segnalati all’ecografia e alla RNM preo-operatoria sia come sede (nella regione retro-sternale e para-tracheale) che come dimensioni (la zona anatomica interssata non veniva adeguatamente indagata nel corso dell’intervento).

Conseguentemente si rendeva necessario nuovo intervento di exeresi (effettuato senza complicanze al Policlinico di Modena).

 

Tesi avversarie
L’intervento non era stato inutile, in quanto erano stati asportati una serie di linfonodi che con ogni probabilità – alla luce della storia clinica del paziente – sarebbero metastizzati, avendo così prevenuto un certo futuro intervento.

Il breve tempo intercorso tra primo e secondo intervento non aveva comportato alcun peggioramento nella prognosi.

Veniva contestata la quantificazione del danno avanzata.

 

Danni Richiesti
“Danno biologico” per la doppia lesione anatomica e “danno morale” per le ansie e le sofferenze per essersi dovuto sottoporre ad un nuovo intervento con i caratteri dell’urgenza causa il tempo perso con il primo intervento non risolutivo.

 

ESITO
Riconoscimento delle ragioni della paziente all’esito del giudizio (sentenza di condanna): €. 30.000,00 di risarcimento.

Odontoiatria

RICONOSCIUTI €. 19.000,00  (in 9 mesi)

 

[Violeta N. vs – Dott. C.G. + Dott. G.L. + Dott. A.M. – stragiudiziale]

 

IL CASO
Trattamenti odontoiatrici su paziente di 37 anni, allo scopo di riportare in arcata il canino n. 13 completamente ritenuto nel palato.

I trattamenti venivano praticati da 3 diversi odontoiatri che si succedevano nel tempo, ognuno dei quali subentrava nelle cure per l’insuccesso di chi lo aveva preceduto, fino alla perforazione del dente durante le manovre di preparazione per l’installazione di un impianto.

 

Nostra Tesi
Il trattamento ortodontico era controindicato.
I dentisti, tuttavia, avevano garantito il risultato ed erano perciò responsabili dell’insuccesso terapeutico, salvo la dimostrazione di causa a loro non imputabile che aveva reso impossibile il raggiungimento del risultato.
Inutile potrazione del trattamento che configurava un “accanimento terapeutico” che cagionava disordine craniomandibolare, tendinomiosite dei muscoli masticatori e capsulite articolare; fino alla rottura per perforazione del canino 13.

 

Tesi avversarie
Impossibilità di identificare e distinguere le colpe e i danni addebitabili all’operato di ciascun odontoiatra intervenuto.

 

Danni Richiesti
“Danno biologico” per la perforazione del canino 13; “danno morale” per essere stata sottoposta a plurimi trattamenti terapeutici senza ottenere il risultato garantito; pregiudizio “estetico”; danno per la violazione del “consenso informato” (non essendo stato raccolto alcun “consenso informato” ai trattamenti praticati); danno “patrimoniale” per i compensi corrisposti ai Dottori.

 

ESITO
Integrale riconoscimento delle ragioni della paziente in via stragiudziale (in 9 mesi): €. 19.000,00 di risarcimento.

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Infezione ospedaliera (Covid)

RICONOSCIUTI €. 5.550,00 (in 6 mesi)

 

[Mohammed vs Ospedale *** di Bologna – accordo stragiudiziale]

 

IL CASO

Infezione Covid contratta durante ricovero ospedaliero in paziente di 45 anni. Durante degenza ospedaliera per anemia, la paziente (la quale era risultata negativa al Covid al tampone pre-ricovero) stante un caso di paziente risultato positivo al Covd, veniva sottoposta a successivo nuovo tampone covid che dava anch’esso esito negativo. La paziente veniva dimessa, con indicazione di isolamento domiciliare, stante la positività riscontrata nella degente compagna di stanza.   Nei giorni a seguire, durante l’isolamento domiciliare, accusava sintomi febbrili ed a seguito di tampone risultava positiva al Covid. Veniva quindi ricoverata per gravi problemi respiratori e quadro di “polmonite interstiziale” che rendeva necessaria ossigenoterapia e terapia cortisonica. Dimessa dopo 20 giorni di ricovero, residuava, tuttavia, nei mesi a seguire “nebbia cerebrale” e dispnea, quadro clinico compatibile quali effetti del c.d. “long covid”.

 

Nostra Tesi

L’evento occorso era inquadrabile come infezione nosocomiale, in quanto la positività non presente all’ingresso ma si era manifestata all’esito della degenza ospedaliera durante isolamento fiduciario e risultava accertato il contatto durante il ricovero con paziente covid-positivo. Sussisteva responsabilità a carattere organizzativo imputabile alla struttura per le carenze nella prevenzione e gestione del rischio sanitario da infezione covid, non essendo stato rispettato il modello organizzativo volto ad impedire il diffondersi del virus in ambiente ospedaliero.

 

Tesi avversarie

Non vi era certezza della nosocomialità dell’infezione, essendo state adottate tutte le cautele del caso e non era comunque residuato alcun danno biologico oggettivamente e medicalmente accertabile.

 

Danni Richiesti

Danno da inabilità temporanea assoluta per tutta la durata del ricovero e parziale per tutta la durata del “long covid”.

 

ESITO

Riconoscimento delle nostre ragioni in via stragiudiziale (in 10 mesi): €. 5.550,00  di risarcimento danni.

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